domenica 22 gennaio 2017
Un'anguilla da 300 milioni" (1971), di Salvatore Samperi
Questo film non rimarrà nella
storia del cinema, ma è molto gustoso ed anche quando inclina ad un certo macchiettismo (la figura per es. del prete),
mantiene un certo garbo.
Ci
parla della provincia veneta e
benché qui Samperi non intendesse realizzare una pellicola
socialmente impegnata, comunque qualche spunto di riflessione c'è.
Ma ripeto: il
film è soprattutto gustoso e garbato. Secondo me, appartiene a quel
tipo di cinema che sapeva esser graffiante, ma nello stesso tempo,
divertente: penso per esempio a quello di Monicelli.
Ora,
ci troviamo nelle valli di Caorle, dove vive il Bissa (al
secolo Giovanni Boscolo), interpretato da Lino Toffolo. Egli è un
ex-partigiano che vive con una pensione di invalidità, è un
pescatore che però per la grama vita che conduce, spesso pesca di
frodo. Inoltre, oltre che le anguille, cerca di vendere anche delle
rane.
La vita del
Bissa, che sta in una capanna a poca distanza dall'acqua, trascorre
sempre uguale: lavoro, quattro chiacchiere con gli amici davanti ad
un bicchiere di vino, ancora lavoro, chiacchiere, vino, freddo,
lavoro, vino...
Questa vita è
movimentata da una sorta di gioco a rimpiattino col guardia pesca che
cerca invano di coglierlo con le mani nel sacco. Infatti per il Bissa
una delle poche fonti di sostentamento è data dalla pesca delle
anguille, che però (dove vive lui) è proibita.
Lui è
comunque un povero diavolo, ma in modo non del tutto ingenuo, si
chiede se dopo tutti i morti della Resistenza, i lavoratori
(pescatori inclusi), non avrebbero meritato miglior sorte.
L'esistenza
del Bissa è però addolcita dal legame con una bellissima vedova,
la Contessa Spodani (Senta Berger): beninteso, non si tratta
di una storia d'amore. Inoltre, quel legame non si basa sulla
fedeltà.
Infatti la
nobildonna spiega al Nostro con adorabile candore: “A me piace fare
l'amore, ma mio marito voleva redimermi. Ma chi vuol essere
redenta?”
E lui, con
aria comicamente solenne: “Fare l'amore è necessario.”
La Contessa
prosegue: ”Lui non voleva lasciarmi andare, diceva che senza di me
sarebbe morto. Per questo gli ho sparato.”
Inoltre, i
convegni amorosi tra il pescatore e la disinibita sangue blu
avvengono... in cimitero! Come avrebbe detto Totò: “Il
paese è piccolo; la gente, mormora.”
Talvolta le
chiacchiere al bar prendono una piega qualunquista e giustizialista,
quella stessa che come ha scritto il filosofo Remo Bodei, prima si
sentivano nei “locali da ritrovo”, ed ora passano per buon
senso: cioè il bisogno della pena di morte, la superiorità del
valori religiosi, della famiglia, l'immoralità delle donne etc. etc.
Si tratta però
di chiacchiere in libertà, stimolate solo dal vino, e che
comunque non impediscono a chi le fa, di riprendersi subito.
Questo quadro,
monotono ma in un certo senso consolante, cambia quando dal Bissa si
presenta Vasco (Gabriele Verzetti), ex-comandante partigiano
che affida “per pochi giorni” al Bissa la figlia Tina (Ottavia
Piccolo).
Vasco confida
al vecchio compagno d'arme che Tina deve disintossicarsi dalla droga
e liberarsi dalle “cattive compagnie.”
Ma ben presto
vediamo che lei è una ricca e viziata ragazza borghese, che diventa
il tormento del Bissa e del suo socio Lino (Rodolfo Baldini).
In questa situazione non manca però l'umorismo, come quando Tina
vede il Bissa alle prese con una pentola e commenta, schifata:
“Blah!”
“Questa è polenta...”
“Voglio
lo yogurt!”
Il
Bissa ribatte: “No, no, no: il Vasco ha detto niente porcherie e
niente droga.”
Non
racconto il resto del film, ma sappiate che sul tronco della commedia
si innesta anche dell'altro, che volge quasi al giallo, e che
racchiude anche del cinismo.
Ma
se trovate un po' di tempo, gustatevi questo film: ne vale davvero la
pena!
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Da come lo racconti sembra un vero e proprio cult-movie di provincia, sia le situazioni sia l'incredibile cast a partire dal veneziano Toffolo, attore "fuori" da tutto, direi "a parte" come la splendida città da dove proviene.
RispondiEliminarif. Alligatore
RispondiEliminaSì, Diego, dici bene: un cult-movie di provincia, purtroppo (secondo me) sottovalutato.
Film come questi si trovano a metà strada tra il cinema "alto" e quello medio, e raccontano i vizi e le virtù della nostra provincia (che forse è simile un po' dappertutto) con leggerezza ma non in modo banale.
Avercene...