domenica 23 agosto 2015
La mania del tempo I parte
In greco antico il termine manìa
significa soprattutto follia,
furore ecc. ecc.
Ma allora
dovremmo girare alla larga dal tempo? Data, infatti, la sua natura,
esso è fonte di pericoli o almeno o almeno di grande confusione.
Appunto il tempo potrebbe offuscare in parte o del tutto le nostra
capacità di giudizio, sviare le nostre scelte morali, sociali,
culturali...
Ma anche
ammesso che sia possibile girare alla larga dal tempo, dobbiamo
chiederci se questo sia desiderabile.
Intanto,
appare evidente il fatto che viviamo nel tempo: dunque come
possiamo “girare al largo” o uscire da
qualcosa in cui viviamo?
Qualcosa che
inoltre entra a far parte di
noi: il tempo, infatti, è come un vento che ci avvolge e tocca di
continuo... ed anche se decidiamo di chiuderci in casa, esso continua
a soffiare.
Ecco perché
nelle sue Confessioni S. Agostino afferma che: “Il tempo non
perde tempo: il suo corso non è senza traccia nei nostri sensi, ma
nell'animo il suo operato è mirabile.”1
In effetti,
sia il tempo in generale che la sua azione possono essere colti solo
da noi: come protagonisti ma anche come sue vittime. Ed
Agostino scrisse la frase poc'anzi citata dopo aver ricordato la
morte di un carissimo amico.2 Si trattava, direi, di
un'affermazione che doveva servire a lenire quel grande dolore.
Ma questo sarà mai possibile? Stando infatti al Vecchio
Testamento: “Ci sono compagni che conducono alla rovina, ma anche amici più affezionati di un fratello.”3
L'impresa sembra quindi quasi disperata.
Per gli
antichi Greci: “Il tempo è il miglior rimedio, la miglior
medicina.” Parrebbe quindi che il semplice trascorrere appunto del
tempo possa farci superare qualsiasi sofferenza.
Il che
equivale però a fare dell'uomo un essere passivo ed a trasformare il
nostro dolore o comunque il particolare sentimento che ci legava a
quella persona, come qualcosa che sarebbe sottoposto a... scadenza:
più o meno come può capitare ad uno yogurt. Ma il dolore “a
scadenza” non dimostra alcun rispetto per la figura dell'amico.
Ora,
non si tratta di santificare un continuo e straziante dolore: bisogna
soffrire con dignità, sapersi controllare e non cedere a
manifestazioni esteriori o a moti interiori che potrebbero rivelarsi
di cattivo gusto, denotare esibizionismo o sfiorare addirittura il
ridicolo.
Ma anche
quando si evitino questi eccessi, comunque difficilmente
il dolore per la perdita di una persona per noi straordinaria, può
essere sanata dalla mera dimensione temporale: ecco che allora si può
sprofondare nella mania del tempo, nel senso di una continua
rievocazione (quasi masochistica) dei bei momenti vissuti con quella
persona.
Non voglio
colpevolizzare né sbeffeggiare chi fa questo, anche perché si
tratta di una dinamica che secondo me, dipende anche dal presentarsi
l'amico o l'amica come un essere in un certo senso
unico: il parente o il familiare non possiamo sceglierlo.
L'amicizia dipende fortemente dalla libertà ed il legame
che nasce tra i veri amici (che non a caso sono pochi) è raro.
Inoltre,
quando l'amico non si riveli all'altezza delle nostre aspettative
(più o meno ragionevoli) il legame si rompe.
Qui vediamo quanto
avesse ragione Cicerone quando affermava che “dall'amore deriva il
termine amicizia.”4 La radice, sia linguistica che affettiva, è in
effetti molto simile.
Infatti S.
Agostino, parlando della familiarità che si crea con gli amici e
delle manifestazioni di gioia che ad essi ci legano, dice: “Tali e
simili manifestazioni sgorganti da cuori che amano e che sono
amati, nel viso, nei discorsi, negli occhi, in mille altri segni
tutti graditissimi, erano come esca che infiamma le anime e, di
molte, forma una sola.”5
Dunque
Agostino concepisce l'amicizia come un legame davvero speciale, ma
gli preme altresì sottolineare la ragione secondo lui più profonda,
che provò per la morte dell'amico.
Egli si
chiede: “Come mai infatti quel dolore era penetrato tanto addentro
e tanto facilmente in me, se non perché io avevo riversato l'anima
mia sulla sabbia, amando un essere mortale quasi non fosse mortale?”6
Come
vediamo, si tratta di qualcosa che ha a che fare col tempo:
l'eccessivo affetto per un essere mortale, che come tale
dipende strettamente dal lato temporale, crea nel nostro animo un
attaccamento che al momento della morte altrui, causa un dolore
difficilmente sopportabile.
Inoltre,
questo dolore si rivela intrinsecamente errato, in quanto non si
dovrebbe amare troppo chi per sua stessa natura è comunque destinato
alla fine. Questo affetto è (nella prospettiva però
religiosa) solo un volersi legare ad un bene inferiore, quando
si dovrebbe cercare innanzitutto quello superiore cioè Dio.
Ma in
Agostino (il cui concetto di tempo è comunque molto
complesso) troviamo un'idea di amicizia molto alta. Quando poi
dipinge la sua sofferenza per la morte dell'amico, rappresenta la sua
solitudine ed il suo dolore in un modo che non ha niente da invidiare
alle angosce di un Kafka o ai tormenti interiori del Raskolnikov di
Dostoevskij.
“Ed io
costituivo per me stesso un luogo desolato, dove non potevo
stare, donde non potevo fuggire. Avrebbe potuto forse il mio cuore
evadere da se stesso? Dove allontanarmi da me? Dove il mio io
non mi avrebbe seguito?”7
Note
1 S.
Agostino, Le confessioni, Bur, Milano, 1978, 4, VIII, p.119.
Per una trattazione più sistematica del problema del tempo in S.
Agostino, cfr. almeno Id., Le confessioni, op. cit.,
11, X-XI, pp.317-336.
2 Id., Le
confessioni, op. cit., 4, IV-VII, pp.115-119.
3 Proverbi, 18,24
4 Marco
Tullio Cicerone, Laelius. De amicitia. Lelio. L'amicizia,
Mursia, Milano, 1987, I, VIII, p.93.
5 S.
Agostino, Le confessioni, op. cit., 4, VIII, p.120. Il
corsivo è mio.
6 Id., op.
cit., 4, VIII, p.119.
7 Ibid., 4,
VIII, p.119. I corsivi sono miei.
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