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domenica 22 febbraio 2009

A scuola con Abelardo


Abelardo: l’amore e la stupenda corrispondenza con Eloisa (qui forse parafraso il Gilson) concorsero all’elaborazione di quella “teologia della coppia” che poi influenzò anche la filosofia del Bretone.
Perché ho pensato ad Abelardo? Perché nei suoi “Insegnamenti al figlio” (Armando, Roma, 1991) G. Ballanti ha scorto quasi un “programma Abelardo”: cioè un modo di far lezione che fissava una sorta di (termine mio) anatomia dell’insegnare… che procedeva attraverso la preliminare fissazione ed il successivo esaurimento di fasi (cit., p.51).
Penso che ciò consentisse di insegnare evitando il nozionismo. La gradualità permetteva cioè all’allievo di imparare secondo dei tempi, non necessariamente cronologici. Negli “Insegnamenti”, qui… ri-concordo con la Ballanti esiste un “flusso di coscienza” pedagogico, dove un tema richiama l’altro e lo introduce per somiglianza o per contrasto (…)” (cit., p.63).
Osservo che in caso contrario, si svilirebbe la dialettica maestro-allievo, al punto che l’insegnamento diventerebbe monologo. Invece, credo che quel “flusso” stimoli nell’allievo sia l’attenzione ai temi trattati, sia l’interesse per svilupparne altri… ad essi collegati. Così l’allievo collabora col maestro.
Dovrei poi dilungarmi sul concetto di “sequenza” elaborato da Abelardo che mi pare, la programmazione scolastica ha adottato da tempo; ma vorrei limitarmi ad una questione di metodo che trovo fondamentale. In tutte le sue opere Abelardo distinse sempre tra 1) “usus” e 2) “ingenium”; il 1° termine indica la ripetizione mnemonica, la logica ridotta a solo principio di non-contraddizione, il seguire strade già battute e riproposte acriticamente. Il 2°, l’”ingenium”, indica l’ingegno personale, la creatività, il rischiare (cfr. la sua “Dialettica”).
Mi chiedevo se voi foste dalla parte dell’”usus” o dell’”ingenium”; ma da come scrivi, penso che almeno tu sia da quella del 2°.
Propongo ora un’altra distinzione ma simile alla precedente: quella tra “prolatio verborum” ed “intelligentia” (testi: “Historia calamitatum” e “Dialogo tra un filosofo, un ebreo e un cristiano”). Per il Nostro, il proferire parole (“prolatio verborum”) è cosa inutile o dannosa quando tale atto manchi, perfino nel dominio della fede della comprensione razionale (”intelligentia”). Aggiungo che la “prolatio” può sembrare segno di creatività mentre spesso non fa che confondere l’allievo. E questo può accadere anche con proposte bibliografiche formalmente ineccepibili, ma che si risolvono nella moltiplicazione dei… testi; fatto tutt’altro che miracoloso!
Penso insomma che da Abelardo si possa imparare l’uso della dialettica come metodo e come atteggiamento nella pratica didattica. Da quello che ho letto nel vostro blog, forse con voi ho sfondato la classica porta aperta; comunque, ho esposto miei interessi, e chissà, posto qualche stimolo o solo qualche quesito.

4 commenti:

  1. Federico II diceva che l'arte è perfetta pratica e perfetta teoria...penso che un po' tutto sia così. L'una non può essere scissa dall'altra.
    Non credo ci sia un solo metodo d'insegnamento, non credo ce ne sia solo uno di valido, ma di certo a metterne in pratica solo uno si sbaglia di sicuro. Parte dell'apprendimento può essere mnemonica, ma dopo i dati vanno elaborati; così come l'uso della dialettica.
    Interessantissimo testo...bel post, mi sta facendo andare a caccia di più informazioni ;-)

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  2. No, Riccardo, non sfondi una porta aperta. E' vero, noi ci poniamo il problema del metodo pedagogico più efficace, del porgere e del porsi all'allievo in modo da rendere più solido e duraturo l'apprendimento; ma sono tante le correnti di pensiero, sopratutto in questi tempi di riforme che, dice qualcuno, ci fanno tornare indietro di cinquant'anni.
    E invece tu ci fai notare che il passo indietro sarebbe ben più lungo, purtroppo. Portare avanti idee che incoraggino il nozionismo, l'"usum", la "prolatio verborum", sostenendo che solo in questo modo l'allievo si sforzerà di migliorare, che solo così si potrà effettuare una selezione squisitamente meritocratica mi sembra cosa crudele e antidemocratica; eppure ancora oggi, nel terzo millennio, c'è chi sostiene queste tesi.
    Durante i tempi caldi dell'approvazione del decreto Gelmini ho avuto modo di confrontarmi nel web con qualche "consigliere" del ministro e di constatare l'arroganza e la presunzione nei confronti di chi ha a cuore l'"anatomia dell'insegnamento" (che bella espressione, complimenti!), che è la ricerca continua del metodo più efficace perchè chiunque possa dare il meglio di sè, mettendo a frutto quei talenti che rendono di ogni soggetto un essere unico, irripetibile, insostituibile.

    Ti sono enormemente grata, Riccardo, di questo bell'approfondimento, che mi trova assolutamente in linea con le tue idee e col pensiero di Abelardo.

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  3. rif. sara
    Molto bella, Sara, la citazione da Federico II: un uomo che mi pare abbia fatto molto per la cultura, per il sud e per l’integrazione tra popoli (cristiani, ebrei e musulmani) nel M.E. spesso rivali.
    Possiamo collegare quella citazione all’idea che la pedagogia non debba porsi come disciplina statica, bensì estremamente disponibile al confronto. Come ha detto Pennac in “Come un romanzo”, non esiste la pedagogia ma i pedagogisti.
    Siamo senz’altro d’accordo sulla condanna del solo dato mnemonico; inoltre giustamente tu inviti ad evitare eccessi dialettici… Lo stesso Abelardo condannava gli “iperdialettici”.
    Grazie per i complimenti
    Ciao.

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  4. rif. romaguido
    Condivido IN TOTO, R., quanto dici su quel che si vorrebbe fare a proposito dell'istituzione scolastica.
    Che cosa potrei aggiungere? Eppure io (sarà che sono un inguaribile "chiacchscriverone") qualcosa vorrei aggiungere.
    Soprattutto, mi preme far notare come Abelardo (da vedersi nel suo legame, filosofico e di fede) con S. Agostino, avesse ben chiaro il fatto che la dialettica sia "la disciplina delle discipline: insegna a insegnare, insegna ad apprendere."
    Naturalmente, un modello pedagogico-filosofico come quello agostiniano-abelardiano presuppone un grande rispetto per gli allievi e per gli stessi insegnanti. Gli uni e gli altri devono infatti poter agire sostenuti da mezzi e strutture, oltre che esser animati da spirito di servizio e da sete di conoscenza.
    Ti ringrazio infine per il link da te allegato alla discussione sul blog di Israel, su cui spero di intervenire presto.
    Ciao.

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