Il 23 marzo del 1944 la
Resistenza romana attaccò ed uccise 33 membri del 3° battaglione di
polizia SS Bozen.
In
seguito a questo attacco i nazisti stabilirono, contro qualsiasi
legge di guerra, di uccidere 10 italiani per ognuno di loro. Arrivati
però a 330, decisero di ucciderne anche altri 5. Nota
bene: una rappresaglia è sempre
e comunque, quindi in sé stessa:
1) azione moralmente vile; 2) atto giuridicamente ingiustificabile:
Questo perché appunto la rappresaglia viene scatenata contro delle
persone disarmate e che comunque, non possiedono alcuna esperienza né
preparazione di tipo militare, né pratica né teorica.
Ma
quell'azione non trova nessuna giustificazione morale o giuridica
neanche sul piano del diritto di guerra. Ipotizziamo, infatti, che i
335 martiri delle Ardeatine fossero stati militari o poliziotti
(anche se sappiamo che non lo erano). Bene, il soldato o l'agente di
polizia che sia stato fatto prigioniero ha diritto di non subire
alcun tipo di violenza, di pressione, ricatto ecc. ecc.: né sul
piano fisico né su quello psicologico, morale e così via.
Del
resto, il rispetto sia
per i civili sia per il personale militare o di polizia che si
trovasse in stato di detenzione o di prigionia, era prescritto dalle
stesse leggi a cui doveva attenersi l'esercito di Hitler. Riporto,
infatti, da I dieci comandamenti del soldato tedesco almeno
questi articoli: “Combattendo per la vittoria, il soldato tedesco
osserverà le regole della guerra cavalleresca.
Le crudeltà e le distruzioni insensate sono indegne di
lui.
Il
nemico che si è arreso, anche se è partigiano o spia, non
deve essere ucciso. Sarà
debitamente punito dai tribunali.
I
prigionieri di guerra non devono essere maltrattati o
offesi.
La
popolazione civile è sacrosanta.”1
Sappiamo
bene come non solo le S.S., ma anche la Gestapo, la Luftwaffe
(l'aviazione militare) e la Wehrmacht (le truppe di terra) ignorarono
questi pur nobili articoli.
Si
dirà: ma i soldati tedeschi temevano, non eseguendo gli ordini
crudeli ed insensati dei loro comandanti, di essere anche loro
torturati ed uccisi. In effetti, l'ultimo art. di questi
“comandamenti” recita: “Solo dietro ordine del comando
superiore sono permesse azioni di rappresaglia.”2
Dunque
si dice in modo abbastanza chiaro che la Vergeltung appunto
in tedesco la rappresaglia era ammessa: e non si dice fino a che
punto di inumanità essa potesse o dovesse spingersi, né si
specifica se di fronte a quella il soldato avesse un qualche margine
di discrezionalità o perfino di insubordinazione.
Da
quel punto di vista, si potrebbe pensare che il soldato del Terzo
Reich (per il momento lasciamo stare il suo senso morale e
la sua umanità),
fosse portato ad eseguire certi ordini per paura.
Ma in realtà la paura non
c'entrava. Nel caso, infatti, della reazione nazista a via Rasella,
sappiamo che Hitler aveva chiesto di far saltare una parte di Roma e
di uccidere più di mille italiani.
Ma attenzione: “Il capo di stato maggiore di Kesserling, Siegfried
Westphal”, fu informato dal: “Colonnello Baelitz”, dell'attacco
di via Rasella e di una disputa tra altri due grandi alti ufficiali,
cioè Möllhausen
e Mälzer,
“della selvaggia richiesta di Hitler.” Comunque: “I due uomini
concordarono nell'opinione che sarebbe stata un'azione irragionevole,
benché ambedue fossero persuasi che gli italiani dovevano essere
puniti.”3
Bene,
a nessuno degli ufficiali poc'anzi nominati accadde qualcosa.
Addirittura, rifiutò di prestarsi a quell'infamia perfino il
maggiore Dobbrick, benché toccasse: “A lui, quale comandante del
3° battaglione, vendicare i suoi uomini”, e come se non bastasse:
“Il colonnello Hauser, che ben presto sarebbe stato promosso
generale, oppose anche lui un rifiuto.”4
Tutto
ciò prova che chi voleva, poteva rifiutarsi di eseguire ordini
barbari, o a dir poco inumani. Insomma, chi certi ordini impartiva ed
eseguiva, lo faceva con assoluta cognizione di causa, senza alcuna
remora di tipo morale, conscio che volendo avrebbe potuto rifiutarsi
e probabilmente, obbediva anche con un certo entusiasmo.
Torniamo
ora al punto da cui siamo partiti, cioè alla composizione degli
uomini della Bozen.
E' stato sostenuto perfino da massime autorità della Repubblica, che
quegli uomini fossero: “Una banda musicale di semi-pensionati, e
non nazisti delle SS.”5
Lo
storico tedesco Lutz Klinkhammer, infatti, afferma afferma che quei
battaglioni di polizia furono creati da
Himmler,
il capo delle SS e che quei reparti: “Parteciparono allo sterminio
degli
ebrei dell'Est Europa. E il quindicesimo reggimento di polizia, che
precedette a Roma i soldati della Bozen, prese parte al
rastrellamento
degli
ebrei il 16 ottobre del 1943.”
Klinkhammer,
per fugare poi ogni dubbio su compiti e funzioni di queste che non
erano semplici squadre di polizia, aggiunge che anche i soldati della
Bozen: “Portavano la stessa
divisa
della polizia d'ordine nazista
che
era quella indossata dai rastrellatori. Formalmente erano tutti
inquadrati nell'impero
delle SS,
sotto Himmler, che infatti il 24 febbraio – un mese prima
dell'attentato
di via Rasella – emanò un decreto per il quale i reggimenti di
polizia dovevano prendere il nome di: 'Reggimenti di polizia SS.'”6
Affermare
poi che quelli della Bozen
fossero
“semi-pensionati”, risulta quantomai falso. Il più “anziano”,
infatti, era un certo Jakob Erlacher, classe 1901; egli aveva dunque
43 anni.”7
Davvero
risulta quantomai falso affermare che si trattasse di
“semi-pensionati,” membri di una banda militare ecc. ecc. In quei
casi si potrebbe pensare che fossero poco addestrati, mal armati e
magari anche privi della necessaria copertura da parte di mezzi
militari pesanti: una sorta insomma di versione tedesca dell'armata
Brancaleone.
Come
afferma, infatti, lo stoico americano Robert Katz, la colonna di
soldati che al momento dell'attacco partigiano si apprestava ad
imboccare via Rasella: “Era scortata da una mezza dozzina di uomini
con fucili mitragliatori mitragliatori allineati in testa. Un
autocarro armato con una mitragliatrice montata su una piattaforma
chiudeva la colonna. La formazione si snodava per una lunghezza di
circa cento metri: più di centocinquanta uomini, che portavano a
tracolla i nastri delle munizioni. Ognuno era armato di un fucile e
di una pistola.”8
Altra
falsità sul piano storico consiste nell'affermare che i partigiani
fossero al corrente, anzi dire con una certa decisione che “sapevano”
che compiere atti di ostilità contro i nazisti, avrebbe causato
delle rappresaglie. Dopo l'attacco, infatti, compiuto dai Gap di
Roma, l'autorità militare che in quel momento era seconda solo al
feldmaresciallo Kesserling, cioè Mackensen: “Fissò la proporzione
dei fucilati nella misura di 10 italiani per ogni tedesco ucciso in
via Rasella.”9
Ora,
se Mackensen ebbe bisogno di “fissare” quella terribile
proporzione, risulta evidente che prima non era ancora stato fissato
proprio nulla. Dunque i partigiani non potevano “sapere”
assolutamente niente.
A
chi poi obietta che i nazisti avrebbero voluto giustiziare solo chi
li aveva attaccati, va ricordato che durante il processo tenutosi in
Italia nel 1948, chi organizzò e diresse il massacro delle Ardeatine
cioè il maggiore Herbert Kappler, affermò che si era deciso di
mantenerlo: “Segreto per ragioni di sicurezza, cioè per paura di
un tentativo da parte dei partigiani di impedire ai tedeschi di
portar a termine le rappresaglie.”10
Comunque,
dal dopoguerra ad oggi, a riprova del persistere di una mentalità
che simpatizzava e forse simpatizza tuttora col nazifascismo, si è
parlato di: “Pubblici proclami affissi alle vie di Roma all'inizio
dell'occupazione e che avvertivano la popolazione che rappresaglie di
dieci uomini contro uno sarebbero state all'ordine del giorno. Nessun
annuncio del genere fu mai esposto al pubblico sotto
nessuna forma, e la verità è che prima di quella delle
Ardeatine in Italia i tedeschi non attuarono alcuna rappresaglia.”11
Del
resto, e questa è la classica prova del nove, quando furono
processati sia Kappler sia Kesserling, alla domanda se rivolsero ai
gappisti un qualche appello perché si costituissero, o anche uno in
cui si informasse la “cittadinanza romana” di una rappresaglia:
“Il cui rapporto sarebbe stato di dieci italiani per ogni
tedesco”12 sia Kappler sia Kesserling risposero negativamente.
Kesserling fece questo anche quando la Corte gli chiese: “Ma
potrebbe aver detto: 'Se la cittadinanza non denuncerà i
responsabili entro una certa data, ordinerò di uccidere dieci
italiani per ogni tedesco?”13
Forse
alla questione ho dato anche troppo spazio. Comunque che cosa
pretende, chi parla di fantomatici “appelli”, del fatto che i
partigiani “sapevano” del rapporto di 10 italiani per 1 tedesco
ecc. ecc.? Solo una cosa: scaricare su chi combatteva per liberare
l'Italia dal nazifascismo la responsabilità delle stragi appunto
nazifasciste. “Solo” che l'Italia si arrendesse senza combattere.
Nient'altro.
Comunque,
quando si trattava di massacrare barbaramente dei civili e tra questi
anche donne, vecchi e bambini, i nazisti non avevano certo bisogno di
nascondersi dietro l'alibi di attacchi da parte dei partigiani. Come
prova lo storico tedesco Lutz Klinkhammer: “In effetti, le stragi
di Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, Padule di Fucecchio,
Pietransieri o Vallucciole, nelle quali furono trucidate in modo
bestiale prevalentemente donne e bambini, senza che vi fosse stato
precedentemente un attentato come a via Rasella, sono esempi
ancora più eclatanti del terrore tedesco in Italia.”14
Di
più: la città olandese di Rotterdam, che pure decise di arrendersi
all'aggressore nazista, fu comunque bombardata e rasa al suolo dalla
Luftwaffe, tanto che alla fine della 2/a guerra mondiale dovette
essere in buona parte ricostruita. Dunque per i nazisti il fatto che
ci si potesse arrendere e consegnare nelle loro mani non contava
proprio niente: quel che contava era colpire nel modo più duro sia
chi combatteva sia chi non lo faceva. In questo modo essi puntavano
ad ottenere dei (peraltro discutibili) successi sul piano militare,
ma l'obiettivo era soprattutto un altro: il terrore, col quale
credevano di poter fiaccare il morale della popolazione, in modo
anche che appunto la popolazione facesse mancare il suo appoggio
tanto al movimento partigiano quanto all'avanzata degli Alleati.
Inoltre,
della guerra aerea contro le città e contro i civili, non solo
contro eventuali infrastrutture militari o anche industriali adibite
a fini militari, uno dei maggiori artefici fu proprio Kesserling...15
egli, infatti, fu responsabile di varie stragi, in Italia e non solo.
Inoltre,
quando si parla di stragi compiute dai nazisti in Italia, non bisogna
dimenticare la fattiva collaborazione o per meglio dire complicità
che in esse ebbero le autorità fasciste italiane: senza
quella complicità, ben difficilmente i nazisti avrebbero potuto
accedere ai nominativi di ebrei, oppositori politici e partigiani.16
Chi dimentica o non conosce questo vergognoso fatto, farebbe meglio a
documentarsi e se proprio non ci riesce, non sbaglierebbe se
decidesse di occuparsi di altro, invece che della parte più tragica
della storia d'Italia del XX secolo.
Vorrei
concludere ribadendo come il concetto di “obbedienza” non abbia
alcun valore di fronte allo sterminio di persone innocenti o perfino
di prigionieri che pure siano ritenuti dei pericolosi nemici. I
membri della Wehrmacht, delle SS, della Luftwaffe e della Gestapo che
durante i processi dichiaravano di esser stati costretti ad eseguire
certi ordini perché in caso contrario sarebbero stati giustiziati,
come abbiamo visto, in realtà mentivano. E questo lo sapevano
benissimo.
Come
ricorda al riguardo il Klinkhammer: “Per far valere tale meccanismo
di discolpa si inventò allora una parola nuova 'Befehlsnotstand'
(impossibilità di disubbidire). Ormai sappiamo da diverso tempo che
tale 'Befehlsnotstand' non è mai esistito.”17
Personalmente,
aggiungo che anche quando tale “impossibilità” fosse esistita,
ci sarebbe però stata almeno una possibilità: quella di
comportarsi da esseri umani. Sempre. Comunque.
Inoltre,
dobbiamo ricordare come nel corso della Storia, determinati orrori
siano stati ispirati (sebbene certe “ispirazioni”solo
volgarissimi alibi) da altri che li hanno preceduti. Hitler, per es.,
sosteneva di voler applicare alle popolazioni dell'Europa orientale,
ma come abbiamo visto non solo a quelle, i sistemi che furono
applicati dagli Americani ai cosiddetti Indiani. Perciò dalla
teorizzazione della legittimità di certi massacri alla loro
realizzazione pratica, il passo era davvero breve; né a tutto ciò
si sottrasse il regime di Mussolini, per es. in Etiopia.18
Da
tutto ciò consegue che le Fosse Ardeatine e tanti altri massacri non
nacquero diciamo così da qualche raptus, o come reazione allo
stress psicologico a cui in guerra i soldati sono spesso sottoposti
ecc. ecc., ma furono il prodotto di un lucido e freddo piano
criminale. Ecco perché si poté arrivare al punto, alle Ardeatine,
che con alcuni spari: “Alcune teste”, fossero, “letteralmente
staccate dal busto. Ne schizzarono brandelli sul soffitto della
galleria. Quando i cadaveri vennero esumati, se ne trovarono 39
decapitati.”
A
proposito delle pallottole esplose dai carnefici, sappiamo anche che:
“Non attraversarono il cervello, ma soltanto la faccia, strappando
occhi e nasi in un fiume di sangue. Non tutti morirono subito anzi
molte vittime: “Giacquero prive di sensi per i colpi ricevuti,
agonizzando nel cumulo dei cadaveri.”19
Era
la guerra cavalleresca dei nazisti, che ebbero come alleati i
non meno cavallereschi fascisti nostrani.
Note
1
Lord Russell, Il flagello della svastica (1954),
Feltrinelli, Milano 1991, artt. 1,3,4,7, p.239. I corsivi sono miei.
2
Lord Russell, Il flagello della svastica,
op. cit.,art. 10, p.240.
3
Per tutto questo, cfr. Robert Katz, Morte a Roma. Il
massacro delle Fosse Ardeatine (1967),
Editori Riunti, Roma 1996, pp.82-83.
L'ed.
cit. non è una semplice ristampa, ma un testo che tiene conto anche
di nuovi fatti emersi dopo il 1967: in primis l'inspiegabile inerzia
del Vaticano di fronte alla Vergeltung
nazista; cfr. R. Katz, Introduzione alla nuova edizione a
Id., Morte a Roma, op.
cit., pp.IX-XIII.
4
Cfr. R. Katz, Morte a Roma,
op. cit., rispettivamente pp. 115 e 116. In un primo momento si
mostrò esitante lo stesso Kappler; cfr. R. Katz, op. cit., p.116.
Cfr.
Robert Katz, Dossier Priebke. Anatomia di un processo,
Rizzoli, Milano 1996, pp.135-136. Più in generale, per decine
di casi di soldati che si
rifiutarono di eseguire ordini chiaramente criminali, ma senza subire
alcuna conseguenza, cfr. R. Katz, Dossier Priebke,
op. cit., pp.126-127. Come testimoniò durante il processo Priebke il
capitano della Marina tedesca Gerard Schreiber, per nessuna di di
quelle insubordinazioni: “Ci fu mai un caso di pena capitale.” R.
Katz, Dossier Priebke,
op. cit., p.127.
5
Cfr. Lo storico smentisce Ignazio La Russa su via Rasella:
“Altro che pensionati, quelli erano soldati nazisti”,
da https://www.open.online
L'on.
La Russa si è poi scusato per quella sua dichiarazione, ammettendo
però con sorprendente nonchalance che
si trattava di soldati nazisti: l'esatto contrario quindi di quel che
aveva dichiarato solo pochi giorni prima, che faceva pensare a quelli
della Bozen come
persone del tutto pacifiche ed inoffensive. Perciò ben difficilmente
questa sua rettifica è apparsa come granché argomentata, o
convincente.
6
Per tutte le affermazioni citate, cfr. Lo storico smentisce
La Russa, art. cit. I corsivi
sono miei.
7
Cfr. Il combattimento di via Rasella,
di Andrea Dominici, in http://docenti.ing.unipi.it
8
R. Katz, Morte a Roma,
op. cit., p.7
9
Id., Morte a Roma, op.
cit., p.82.
10
Id., Morte a Roma, op.
cit., p.217. Sull'eccidio delle Ardeatine e sulle vicende processuali
ad esso relative, cfr. anche L'eccidio delle Fosse
Ardeatine in
https://encyclopedia.ushmm.org
11
R. Katz, Dossier Priebke. Anatomia di un processo,
op. cit., p.43. I corsivi sono miei.
12
Per la domanda in questione, cfr. R. Katz, Morte a Roma,
op. cit., p.217.
“Richiesto
a bruciapelo dal presidente del tribunale se fosse stato rivolto ai
partigiani uno 'specifico appello' a consegnarsi, Kappler rispose:
'Io non avevo l'autorità per fare appelli di questo genere.” In un
altro contesto dichiarò: 'Mi mancava il tempo per farlo...'” Cfr.
Testimonianza di Kappler,
in R. Katz, Morte a Roma,
op. cit., p.217 n.1. Sulla medesima questione, cfr. Id.,
Dossier Priebke, op. cit., p.70.
13
Riguardo a Kesserling, cfr. R. Katz, Dossier Priebke,
op. cit., pp.70-71.
14
Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. 1943-1944,
Donzelli, Roma 2006, p.24.
15
R. Katz, Morte a Roma,
op. cit., p.90 e n.1.
16
L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. 1943-1944,
op. cit., almeno pp.67-69. Cfr. anche R. Katz, R. Katz, Morte
a Roma, op. cit., pp.176-177
n.6, dove l'A. sostiene come anche nel caso del: “Massacro tedesco
di quindici partigiani, in cui furono esposti a pubblico ludibrio in
piazzale Loreto, a Milano, (…) fosse stata la polizia
fascista a prelevare le vittime
da una prigione italiana per consegnarle ai
tedeschi.”
17
L. Klinkhammer, Prefazione a
Stragi naziste in Italia. 1943-1944,
op. cit., p.IX.
18
Per tutto questo, cfr. Domenico Losurdo, Il peccato
originale del Novecento,
Laterza, Roma-Bari 1998, pp.8-11.
19
R. Katz, Morte a Roma,
op. cit., p.150. Il corsivo è mio.
Sulle
Ardeatine, cfr. anche Roberto Battaglia Giuseppe Garritano, Breve
storia della Resistenza italiana,
Editori Riuniti, Roma VI ed. 1997, pp.105-108.