Una delle prime immagini che ho
del Natale è, in effetti, una situazione: bambino, nella mia camera
ed al buio, passo un dito sul vetro appannato... stupendomi del fatto
che si potesse scrivere anche
così.
Secondo me
quella situazione rispecchia molte bene quella strana, meravigliosa
ed in certo senso anche logorante esperienza della scrittura, che
come diceva egregiamente Artaud, può anche essere una malattia. Ma
una malattia (aggiungo io) da cui chi scrive spera proprio di non
guarire mai!
Tuttavia,
secondo me la scrittura equivale proprio a tracciare segni e figure
su un vetro appannato: in poco tempo, i nostri dialoghi, le nostre
metafore, immagini etc. etc. possono dissolversi o scomparire. Così,
come volte, capita anche alla vita.
Tutto
sommato, del Natale non mi dispiace neanche l'aspetto forse meno
importante: i pranzi, le cene, i regali, la musica e così via.
Certo,
per chi è solo e/o malato, c'è poco da festeggiare... E diciamo la
verità, a loro pensiamo poco perfino a Natale.
Inoltre,
questa che dovrebbe essere una grande festa religiosa e popolare, è
stata trasformata in un rito consumistico.
Quanto
all'essere “tutti più buoni” proprio in questa occasione...
lasciamo perdere! Bisognerebbe esserlo sempre, mi pare.
Ma
non voglio salire sul piedistallo di una bontà che peraltro, non
posseggo.
Allora
dico: il Natale può darci la possibilità di essere almeno
un po' meno ottusi, indifferenti
e cattivi. E sia chiaro, questo vale anche per me.
Nello
stesso tempo, non voglio cadere nell'altro errore: quello cioè di
fare, su questa festività, del sarcasmo: magari per sembrare un
tipo realistico, “moderno” o addirittura, cinico.
Questo
anno, nella letterina che ho scritto a Babbo Natale ho chiesto (da
quella persona originale che sono) le stesse cose
di sempre: pace, lavoro, giustizia e salute. Per me e per tutti,
perché se stai bene tu mentre gli altri stanno male, allora sì che
sei cinico! E sei anche qualcos'altro che per spirito natalizio,
preferisco che rimanga nella mia penna...
Ultima
palla di Natale: mi piace immaginare che quando saremo seduti a
tavola, in qualche modo,
in un modo cioè che non so spiegarvi neanch'io, ci siano anche tutte
quelle persone che per malattia, età o disgrazia hanno dovuto
lasciarci.
Diceva
nel suo libro Utopia
Thomas More che i nostri cari, solo perché muoiono, non per questo
vanno davvero via:
essi anzi rimangono vicino a noi. Semplicemente, non li vediamo.
Quindi,
perché non pensarla così?
Questo
pensiero mi sembra il modo migliore per trascorrere il Natale o
almeno, tutt'altro che una palla di Natale.