Thomas Bernhard nacque a
Heerlen, in Olanda nel 1931 e morì a Gmunden, in Austria nel 1989.
Straordinaria la frase con cui la nonna gli trovò un lavoro in un
giornale austriaco: “E' mio nipote, non sa fare niente; sa soltanto
scrivere.”
La caustica frase dell'anziana
signora era probabilmente tipica di una mentalità, non so se
austriaca o solo salisburghese (la
città dei genitori di Bernhard) contro cui lo scrittore si sarebbe
scontrato per tutta la vita... L'idea cioè che l'arte ed in fondo
anche la filosofia debbano essere schivate come la peste; insomma,
Dante, Socrate, Goethe, Kant ecc. ecc. sarebbero stati dei
grandissimi idioti. Del problema si occupò anche Achille Campanile
nel suo Vite degli
uomini illustri.
Ma Bernhard
non si arrese mai a questa mentalità.
In
ogni caso, a 16 anni lasciò il ginnasio ed iniziò a lavorare come
apprendista in un negozio di generi alimentari nel quartiere,
considerato malfamato, di Scherzhauserfeld; è questo il tema del
romanzo autobiografico La cantina (T.
Bernhard, La cantina (1976),
Adelphi, Milano, 1984).
Nota bene:
egli fece questo di propria iniziativa, non col consenso né su
imposizione della famiglia. Così, appena adolescente iniziò a
sgobbare alla grande; comunque come scrisse ne La cantina,
al ginnasio aveva voglia di suicidarsi.
Ma lavorando a Scherzhauserfeld... rinacque!
Chi legga le
opere di Bernhard può accusarlo di misantropia; facile accusa. E'
misantropo chi detesta o addirittura odia l'umanità. Certo,
spesso lui polemizza con tanta gente e la sua penna ferisce.
Ma
io penso che Thomas non sopportasse chi finge di
esserti amico e chi pretende di conoscerti perfettamente quando
questo è impossibile anche a noi stessi...
egli detestava poi l'intervistatore che gli rivolgeva delle domande
assurde o banali e si infuriava quando qualcuno invadeva i suoi
momenti di riflessione. E gli piacevano le persone corrette, non
quelle fintamente buone.
Inoltre
denunciava il miscuglio, in Austria, di cattolicesimo e mentalità
nazista che a suo avviso esisteva ancora, a decenni dalla
fine della guerra. E pare che su questo punto tra gli artisti
d'Austria concordassero il marito di Maxie Wander, Fred, la
scrittrice Jelfriede Jelinek e la poetessa Ingeborg Bachmann.
Thomas,
inoltre, non aveva timori reverenziali verso certi mostri sacri della
cultura: per esempio, in
Antichi maestri attacca
Heidegger del quale
dice: “Heidegger è il filosofo dei tedeschi in pantofole
e berretto da notte.” Ed
aggiunge: “Heidegger è un piatto forte della filosofia tedesca, e
fa sempre un figurone, lo si può servire ovunque e a qualsiasi
ora(...), è un budino di letture,
insapore ma facilmente digeribile per
l'anima tedesca media.”
Se
non erro, in un punto di Goethe muore,
Bernhard attacca con discreta violenza anche Popper.
Leggendo
T. Bernhard, che secondo me doveva avere molto dello spirito giocoso
ed irriverente di Mozart, (altro enfant terrible di
Salisburgo) in lui si coglie anche della voglia di divertirsi... non
solo di fustigare uomini o costumi. Penso che tutto questo risulti
dalle espressioni usate dal Nostro, per quanto colleriche possano
sembrare.
In
Conversazioni con Thomas Bernhard egli
osserva infatti che: “Ci sono persone tanto tenaci, che non
capiscono o non sentono assolutamente niente. Diventano subito
insolenti se, per esempio, non si apre la porta, allora picchiano
con questo batacchio, come se la
volessero fare a pezzi dalla rabbia, e i vicini dicono 'E'
in casa.' A Vienna vivo
addirittura nell'anonimato.”
In
effetti, è il sogno soprattutto dell'artista,
quello di vivere in splendida solitudine (che non è isolamento)
per poter creare senza interferenze da parte del mondo esterno.
L'artista che perda questa sua volontaria solitudine
finisce per vivere male e per creare peggio.
Del resto, lui non va in giro a seccare nessuno, allora perché gli
altri lo fanno?!
Qui
ci troviamo di fronte ad una contraddizione, che però per me è solo
apparente: come diceva Lennon, un artista lavora soprattutto a
casa. L'artista potrà anche
fare tutte le esperienze di questo mondo, ma poi deve concretizzare,
dare forma compiuta ad esse... e per farlo deve rimanere da solo e
tranquillo. Nessuno può creare
davvero con una folla che gli invade la casa e gli fracassa
concentrazione ed ispirazione.
Comunque
sempre nelle Conversazioni citate
Bernhard, benché consapevole che: “Nessuno dovrebbe rinchiudersi e
sbarrare tutto”, aggiunge “ma se apro la porta la gente entra
dentro; vengono qui pensando di essere a casa propria. Come se io
fossi una specie di giraffa che si può guardare,
che è comunque a disposizione del pubblico.”
Allora,
l'artista che non voglia passare da “giraffa”, sa che: “Ogni
persona vuole partecipare a qualcosa e nello stesso tempo essere
lasciata in pace. Siccome le due cose, in realtà, sono
inconciliabili, si è sempre in conflitto con sé stessi.”
E
davvero il dissidio tra inclinazione a creare e desiderio di stare
con gli altri è lacerante. Penso che seguendo la prima
strada ci sia il rischio di
realizzarsi come artista ma di fallire come essere umano; seguendo la
seconda, si può fallire come
artista e realizzarsi come uomo, o come donna.
Ma forse le
cose non sono poi così tragiche, magari sono solo un un tantino
drammatiche. Credo che Bernhard ci avrebbe riso sopra. Senz'altro. E
quasi quasi, lo faccio anch'io. Perché un artista sa sempre che cosa
fare; soprattutto quando non lo sa.