Quest’estate ho visitato l’Olanda
e le Fiandre. Si è trattato di posti stupendi, che spero proprio di rivedere…
un giorno o l’altro.
Amsterdam, poi, è un sogno. E’
una città che con quella profusione di canali che vanno di qua e di là, canali
che serpeggiano ma senza incrociarsi (o che se lo fanno, lo fanno in modo molto
razionale ed armonioso) mi fa pensare a Bach. Una città-sinfonia, la capitale
olandese… mica scherzo.
Certo, all’inizio rischi un po’
di confonderti: infatti, la cartina della città ti segnala il canale ed
anche la via, che se ho capito bene vanno in parallelo.
Mi spiego: in neerlandese (la
lingua che parlano in Olanda e nelle Fiandre) canale si dice gracht e
via, straat. Evidente, nel 2° caso, la vicinanza con l’inglese street
ed anche (ma meno) col tedesco strasse.
Quindi, a meno che negli ultimi
10 minuti non ti sia bevuto 5 o 6 birre, se cerchi il Koninkgracht è
sufficiente che non lo confonda con la Koninkstraat. Perché in
quest’ultimo caso raggiungi la “strada del re” e non il “canale del re.”
Certo, l’assonanza dei 2 termini
può confondere... ma allora non c’è altro da fare che continuare a
consultare ed a leggere la cartina, senza fidarsi troppo dei suoni. Nei giorni
da noi trascorsi ad Amsterdam, infatti, non ci siamo mai persi (nonostante
qualche momento labirintico).
Insomma, ad A’dam puoi girare
come se stessi esplorando le tue tasche… la città presenta poi il vantaggio di
non essere bucata appunto come le mie tasche.
Ad A’dam se non parli neerlandese (io non lo parlo più da
quando ho smesso di accompagnare Spinoza nei pubs)
è oltremodo consigliato l’inglese, che parlano in parecchi. Io un po’ lo
parlo, o almeno vedo che quando lo bofonchio, mi capiscono. Spero…
Nella capitale olandese ho tenuto
il mio francese in naftalina, anche se penso che lo parlino almeno le persone
dai 50 anni in su; ohi, la mia età!
Tempo fa ho frequentato un corso
di tedesco, ma in Nederland non ho messo alla prova la mia
conoscenza della lingua di Goethe, conoscenza che giudico ancora acerba.
In generale, gli amsterdamesi
sono riservati ma gentili. Qualcuno mi ha detto che sono anche tirchiotti; non
saprei. Certo è un po’ seccante dover pagare ogni volta che ti serve il bagno:
ma spesso questo capita anche a Parigi.
La città è pulitissima, pulita in
modo quasi intimidatorio, come diceva Erica Jong in Paura di volare a
proposito di Vienna; inoltre, non si sente mai urlare né parlare a voce appena
un po’ alta.
Sull’igiene approvo
incondizionatamente.
Approvo senza condizioni anche la
mancanza di chiassate, ma con una precisazione: coi nostri modi, noi latini
tendiamo a fare (voglio dirlo in modo che la cosa risulti almeno un po’
simpatica) del teatro non per volgarissima maleducazione ma solo per una
certa esuberanza.
Certo, chi urla come se lo stessero
scannando: chi spiattella ai 4 venti i propri problemi personali; chi manifesta
stima per l’avvenenza di certe fanciulle in modo cafonesco, beh, quello lo
trovo odioso anch’io. In casi come quelli o simili a quelli, la latinità non
c’entra proprio niente.
Sia perché l’Olanda è una meta
turistica da noi molto ambita, sia perché laggiù c’è stata un po’ d’emigrazione
italiana (benché non paragonabile a quella che toccò Francia, Belgio, Germania
ecc.) qualche olandese ha imparato 2 o 3 parole della nostra lingua.
Magari ho trovato un po’ buffo
che un locale si sia dimostrato colpito dal fatto che diciamo: “Mille grazie.”
Per noi, quella è una formula di cortesia come tante, con la quale non intendiamo esprimere chissà quale riconoscenza.
Di una cosa simile troviamo
traccia in Gramsci, che scrive di quanto la tedesca Clara Zetkin fosse
fosse stata colpita da questo, che gli italiani del sud augurassero non la
semplice “Buona notte” bensì una “Felice” o addirittura “Santa
notte.”
Si tratta, osservava il Nostro,
di semplici locuzioni se non di convenzioni linguistiche; al massimo
possiamo aggiungere che forse esse possono denotare una mentalità
eccessivamente ossequiosa, magari (inconsciamente) legata a miti e rituali di
un passato ormai superato.
Passando ad altro, la nostra
guida olandese (sig. Stibe) insisteva parecchio sul fatto che il nome corretto
del suo Paese è Paesi Bassi, in neerlandese Nederland e non Olanda.
Da loro “Olanda” indica 2 delle province che compongono il Paese.
Aveva ragione, però in molte
lingue europee è preferito il nome “Olanda”, come in italiano; Hollande,
in francese; Holland, in inglese; Holanda, in spagnolo ecc.
Ma perché Paesi Bassi? Per
la sua, particolarissima, conformazione geografica. L’Olanda è… come dire?,
molto piatta, circa un quarto del suo territorio si trova sotto il livello del
mare. Nel romanzo (ambientato nelle Fiandre del 1400) di Gilbert Sinouè Il
ragazzo di Bruges, si parla proprio di plat pays.
Ancora: lo Stibe non diceva
Amsterdam ma Amster-dam. Come saprete, la città fu costruita
verso il 1250, presso la diga che sorgeva sul fiume Amstel. Ed in neerlandese
“diga” si dice dam. Quindi, Amster-dam, diga sul fiume Amstel. Pare che
la dicitura Amsterdam si trovasse già in un documento del 1275.
Sarebbe come se Roma si chiamasse
Teverdiga; Parigi, Seinedigue: diga sul Tevere, diga sulla Senna
ecc.
Unica nota negativa? Le bici,
che sfrecciano per tutta la città ad una velocità impressionante e che
(sebbene abbiano loro strisce e corsie) se non stai attento, possono piombarti
addosso e portarti via una gamba o qualche costola.
Infatti, chi conduce quelle
dannate bici-killer ti avverte con un suonetto che non sentiresti
neanche se ti trovassi dentro il loro campanello; in più, la pista delle
bici è allo stesso livello del marciapiede… se anche del tutto inavvertitamente
scantoni di qualche cm, sei fritto ed impanato.
Ma se sono tornato a casa sano e
salvo io, che sono una delle persone più distratte di tutti i tempi,
beh, allora voi andrete lisci come l’olio,
tranquilli!
Ancora: sapevo di Amsterdam e dei
suoi canali.. ma fin dalla prima sera nella tulipanica città ho avuto
l’impressione di camminare quasi in mezzo al mare!
Non scherzo: mi sembrava che tra i marciapiedi e le strade
ci fossero delle luci, boe di segnalazione ed altra roba del genere… mi
sembrava che l’insieme appunto di semafori, strade e marciapiedi fosse stato
lanciato sul mare, come una sorta di ponte.
In albergo, poi, abbiamo trovato
degli scalini in legno che per colore e fattura facevano pensare proprio a
qualcosa di marinaresco.
Del resto, poco dopo piazza Dam
c’è una via anche piuttosto ampia in cui ancora a fine ‘800 arrivava davvero
il mare!
Spesso quando andavo a dormire avevo la sensazione che la
stanza ballasse, mi sembrava di trovarmi quasi a bordo di una nave o di una barca.
Ho avuto anche l’ispirazione per
un racconto lungo o per un romanzo breve: chissà che non lo scriva, prima o
poi! Però dovrei trasferirmi per qualche settimana ad Amster-dam, là consultare
antiche carte e documenti d’archivio; insomma, dovrei trasferirmi
nell’amstelica città per qualche mese.
Dichiaro quindi la mia
disponibilità a farmi ospitare (a spese dell’amministrazione cittadina o di
quella universitaria) in qualsiasi hotel di A’dam; anche non lussuoso.
Dite che ho una bella faccia
tosta? Non credo proprio: come tutti sanno gli scrittori sono sacri agli Dèi,
quindi…
Quindi, cari sindaco e/o
rettore dell’università di A’dam, non fatemi aspettare mesi o anni.
Sappiate però che:
1) non insidierò le vostre donne
(sono un marito iperfedele);
2) berrò moderatamente;
3) non nuoterò nei canali o
almeno, darò la precedenza ai battelli.
Allora, che cosa rispondete?
Su, non statevene lì come salami,
sappiate che le autorità di Bruges, Anversa, Dublino, Venezia, Bologna e
Liverpool fremono per offrirmi la loro ospitalità!