giovedì 30 marzo 2017
Confronto tra la scrittura ed altre cosette
La scrittura non tradisce mai.
Possono
far questo ideali di vario tipo, situazioni lavorative, amici,
parenti, colleghi, famigliari ecc. ecc., ma non lei.
Questo
non significa che uno debba rinchiudersi in un mondo di sola
scrittura, ma più semplicemente e realisticamente, significa che
deve evitare di farsi delle illusioni su tutto quell'insieme di cui
sopra.
Certo,
un'altra illusione può
riguardare anche la scrittura: se per esempio ci ostiniamo a cercare,
attraverso questa grande amica, il successo.
Perché
non si scrive per il
successo, ma perché non se ne può fare a meno.
La
scrittura è l'unica droga o malattia dalla quale si deve sperare di
contrarre il virus o la dipendenza. Per sempre.
Altra
illusione che deve esser spazzata via, è quella secondo cui la
scrittura debba renderci felici,
così come può fare una persona che amiamo o un ideale di qualsiasi
genere.
No,
Lady Ink (la Signora Inchiostro) ha un altro stile, altri piani ed
obiettivi. Lei non promette e non ti chiede nulla, ma si prende tutto
il tuo dolore, la tua amarezza, la tua solitudine.
Anche
quando ridi e scherzi con la morte nel cuore e covi segreti che ti
mangiano pezzo a pezzo ogni giorno, ma non puoi confidare a nessuno,
lei
ti ascolta e ti aiuta a sorridere. Si tratta di un sorriso triste che può
capire solo lei, ma la Signora non ti tradisce: non ti strapperà la
pelle davanti a tutti.
Quando
avrai bisogno di mettere su la maschera di una risata, Lady Ink saprà
aiutarti... e lo farà senza chiederti niente: neanche l'amore che
hai per lei.
Si
siede davanti a te quando accordi la penna del tuo dolore e lo fa
tintinnare, violento ma non barbaro.
Plebeo,
ma non volgare.
Sensuale,
ma non pornografico.
Mistico,
ma non bigotto.
Profondo,
ma non astratto.
La
scrittura ti terrà per mano quando nessuno saprà o vorrà più
farlo o lo farà nel modo sbagliato.
Non
tradire mai questa stupenda, meravigliosa amica.
martedì 21 marzo 2017
“Luce dei miei occhi” (2001), di Giuseppe Piccioni
Protagonisti: Luigi Lo Cascio
(Antonio), Sandra Ceccarelli (Maria), Silvio Orlando (Saverio),
Barbara Valente (Lisa), Tony Bertorelli (Mario).
Su tutti spicca la Ceccarelli,
bella (diciamo pure bellissima), ma soprattutto naturale e davvero
credibile nella complessità dei ruoli di madre, amante di Antonio,
lavoratrice, donna alle prese con tutta una serie di debiti, scadenze
e taglieggiata da un capobanda... inoltre in lotta con amanti che la
fanno soffrire tenendola a distanza.
Forse questa è la condizione di
tante donne che spesso devono diventare molto dure proprio per
crearsi una sorta di corazza per proteggere sé stesse, il loro
lavoro e/o i figli.
Poi ci siamo noi uomini che
liquidiamo il loro dolore col marchio dell'”emotività” o
“insoddisfazione” femminile. Ci siamo noi che magari ci
proviamo, come se con le donne
non si potesse far altro.
Nel dipingere
il personaggio di Maria, non dimenticherei la “mano” del regista,
che ha osservato le vicende dall'esterno, con grande delicatezza,
direi... con pudore.
Molto
valida anche la sceneggiatura, sempre di Piccioni e di Umberto
Contarello, perché fa parlare gli attori senza far dire loro troppo.
Anche quando parlano molto, il loro non è mai un dire banale o
ripetitivo: è invece una sorta di lavoro di scavo su sé stessi, che
può anche sembrare una confessione... ma senza ricerche di comodi
alibi o di facili assoluzioni.
Soprattutto
Maria è spesso (sia nei confronti di sé stessa sia in quelli di
Antonio) impietosa, dura, per niente conciliante.
Eppure, lei è
anche molto fragile: la scena in cui, dopo aver litigato con uno dei
suoi amanti, balla ubriaca e disperata sotto la pioggia, lascerebbe
indifferente solo un pezzo di granito.
Di
fronte ad un'attrice come questa,
perfino l'Antonio interpretato da Lo Cascio, rischia di rimanere
sullo sfondo.
Ma
in realtà, Antonio è proprio uno
che nella sua vita ha scelto questa dimensione: quella della presenza
che è anche assenza.
In un mondo in cui tanti cercano di primeggiare, spesso ben al di là
dei loro effettivi meriti o delle loro reali capacità, lui assume
una posizione davvero defilata.
Anche
quando aiuta Maria col suo taglieggiatore (rischiando del resto di
finire in guai grossi), non le dice mai niente: e neanche quando,
come dichiara il verme, potrebbe avvantaggiarsene per “portarsela a
letto.”
Antonio è un malinconico ed uno
che soffre in silenzio, è un uomo che ha mantenuto una sorta di
purezza e che vorrebbe risparmiare agli altri il male. Un personaggio
quasi dostoevskiano, un Raskolnikov senza però la lucida, terribile
coerenza che porta il protagonista di Delitto e castigo
all'omicidio.
Maria gli dirà: “Tu sei troppo
sentimentale”, e lui, col suo sorriso triste: “Lo so.”
Solo questo, in assoluta
semplicità e senza cercare di giustificarsi né di vantarsi.
Forse proprio questa semplicità
gli permette di entrare in contatto con la figlia di Maria: è quel
modo di essere (quello dei bambini) che crescendo, finiamo per perdere.
Ora, non che i bambini siano
sempre e soltanto semplici,
ma c'è in loro un modo di credere e di fidarsi e di affidarsi
che noi perdiamo presto.
Infine,
nel film ho apprezzato il fatto che i protagonisti non siano (secondo
un gergo che odio) dei vincenti.
Sono delle persone che vivono e lavorano in modo molto umile: Maria
in un negozio di surgelati, Antonio come autista.
Nessuno dei due può
concedersi grandi lussi: al massimo, una pizza. Sono dei lavoratori
che hanno accettato una vita di sacrifici, quando altri (che spesso
valgono molto meno di loro) campano alle loro spalle.
Come
ha dichiarato in un'intervista Giuseppe Piccioni, sono persone “senza
né arte né parte”... e lui
stesso si è sempre
sentito così.
In realtà a
loro interessa vivere con dignità e senza coltivare troppe
illusioni.
Alla
fine, dico io, sono quelle le
persone che rendono un Paese qualcosa di diverso e di migliore
da un paese dei balocchi.
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