Domenica 17 novembre 2013 ho acquistato il libro di Bruce Lee Il Tao del dragone (Mondadori, Milano, 2013) che reca come sottotitolo: Verso la liberazione del corpo e dell'anima. Infatti, oggi voglio parlarvi del legame che secondo me esiste tra sport ed arti marziali. E letteratura.... ma intesa nel senso più ampio. Per me, qui è della partita anche la filosofia.
sabato 14 febbraio 2015
I gol, il kung-fu e la letteratura
Domenica 17 novembre 2013 ho acquistato il libro di Bruce Lee Il Tao del dragone (Mondadori, Milano, 2013) che reca come sottotitolo: Verso la liberazione del corpo e dell'anima. Infatti, oggi voglio parlarvi del legame che secondo me esiste tra sport ed arti marziali. E letteratura.... ma intesa nel senso più ampio. Per me, qui è della partita anche la filosofia.
Ora, quando io
ero ragazzino (parliamo quindi dei primi anni '70) per me e per
quelli della mia generazione Bruce Lee era un mito.
Ma ci sfuggiva
del tutto l'uomo: in Bruce vedevamo solo il combattente.
Non capivamo che senza il Lee a suo modo filosofo, il
combattente non sarebbe mai nato.
Bene, c'è un
bel libro che parla del legame tra sport, arti marziali e spirito, lo
ha scritto Antonio Franchini e si intitola Quando vi ucciderete,
maestro? (Marsilio, Venezia, 1996).
Franchini
parla dello sport come qualcosa di bello e che per essere tale
deve essere compiuto in modo naturale e rilassato. L'esempio portato
dall'A. è quel piacere che nel calcio (ma io direi anche in altri
sports che prevedano l'utilizzo di un pallone) proviamo nell'eseguire
dei palleggi. Quando insomma non ci mettiamo a tirare in porta
come se fossimo dei cecchini o a dribblare come dei tarantolati.
Il piacere del
palleggio è invece è invece del tutto disinteressato; a
rigor di termini, non ci interessa neanche contarli, i
palleggi.
Beh,
francamente, vedere qualcuno andare in mistico rapimento da estasi
palleggiante mi ha sempre dato sui nervi...
Certo, io
sempre avuto mezzi tecnici limitati (i cosiddetti piedi di legno)
perciò fedele ai precetti di quella grande sportiva che era la
volpe, trovo i palleggi troppo acerbi...
Ma oggi la mia
insofferenza non è più piena di rabbia. Penso ancora che
sarebbe meglio provare i cross, i tiri ed i passaggi, ma oggi
sorvolo. Inoltre, ho imparato da tempo a fermare gli avversari senza
fare fallo; insomma, non picchio più o almeno, picchio meno. Se
quindi qualcuno se la spassa palleggiando, faccia pure. Tanto, con me
non passerà neanche se dovesse palleggiare come una foca monaca.
Comunque,
nello sport è bella la semplicità: un dribbling eseguito
d'istinto, così come lo farebbe un bambino: quello sì
che strappa applausi a scena aperta!
A tanti piace
il modo di giocare dei brasiliani: niente da dire, sono dei
maestri.
Ma nelle loro giocate vedo qualcosa di forzato, è
come se idealmente il brasiliano dicesse al pubblico: “Ehi, state
attenti, sto per fare un dribbling, una rovesciata, un colpo di
tacco... pronti ad applaudirmi!”
Invece io
ricordo i dribblings o le altre giocate dell'olandese Crujiff, di
Rivera o delle grandi ali del Liverpool Keegan e Dalglish... veloci
come lampi ma eseguite con grande classe e subito dopo, il pallone
arrivava immancabilmente ad un compagno.
Del resto, non
è che per i calciatori debbano essere dei robots: ricordo con grande
simpatia ed ammirazione l'austriaco Wenzl di cui si diceva che
saltasse gli allenamenti(!) ma che è stato uno dei dribblatori più
fantasiosi che abbia mai visto. Non sapevi mai se con quel
flipperistico gioco di gambe ti avrebbe saltato a destra, a sinistra
o chissà dove!
Quel concetto
si avvicina molto all'idea che hanno tanti musicisti o certi poeti,
del verso o della nota come qualcosa che non deve dimostrare
niente. Una volta Battiato, a chi gli chiedeva perché avesse scritto
un determinato verso, rispose: “Mi piaceva il suono.”
Sì,
perché l'arte è del tutto libera, si situa al di fuori di
qualsiasi piano, progetto o significato fissato a tavolino.
Rivera:
“Quando vado sulla palla non so mai se la toccherò col destro o
col sinistro.”
Ci sono
sportivi che seguono i loro atti in assoluta libertà, come se
vivessero in una dimensione tutta loro ed in cui le idee di spazio,
risultato, tempo ecc. non esistessero.
Quando vedi
certi sportivi capisci come sì, loro stiano giocando: ma come
fanno i bambini, prima che arriviamo noi adulti a riempir loro la
testa di schemi, tattiche ecc. Per la sua libertà ed
imprevedibilità, il giocare di certi sportivi equivale al creare
degli artisti: entrambi fanno qualcosa di molto bello ed a
prescindere da tutto.
Certo, in
tutto ciò vi sono anche classe ed allenamento; ma classe ed
allenamento da soli non bastano! E' necessaria anche una
volontà che faccia superare dei grandi limiti.
Pensiamo a chi
giocò a Città del Messico l'immensa Italia-Germania Ovest del 1970:
come era possibile giocare per 2 ore una partita come quella a
2500 metri d'altitudine? E per l'Italia segnò il gol del 4-3 Rivera,
uno che sul piano fisico non era certo un guerriero... Ma ebbe
il sangue freddo e la classe di segnare spiazzando il grande
Maier.
Bene, per oggi
la chiudo qui.
Certo, non
avrò delineato benissimo il rapporto tra sport e pensiero... ma
almeno, non vi ho inflitto il solito post filosofico.
E poi,
sull'argomento tornerò all'attacco; non ve la caverete così!
E questa non è
una promessa. E' una minaccia...
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