sabato 25 gennaio 2014
“America 1929: sterminateli senza pietà”, di Martin Scorsese
Uno dei primi films di Scorsese.
Protagonisti: Barbara Hershey, David Corradine e suo padre John. Il
film è liberamente tratto dall'autobiografia di Bertha Thompson,
Sister of the road (sorella
della strada), però Scorsese ha saputo trarre dal libro un gran
bel film. Egli ha infatti colto
benissimo lo spirito irrequieto di Bertha, che non era una semplice
vagabonda bensì una donna curiosa, intelligente ed appassionata.
Figura
centrale è naturalmente Bertha (la Herhey): la sua sensualità,
unita alla sua iniziale ingenuità, l'esser lei anche guardinga ma
più spesso pronta a lasciarsi andare alla corrente della vita,
magari con una franca risata, la sua innocenza anche nel crimine,
l'amore incondizionato per Bill (D. Corradine) oltre che per i
lavoratori... be', tutto questo fa di lei una figura unica.
In
questo film (sebbene ambientato durante la Grande Depressione del
'29) la Hershey mi ha ricordato molte delle ragazze degli anni '70:
scanzonate & anche
naif ma pronte a prendere fuoco
di fronte all'ingiustizia. Del resto, sebbene il libro della Thompson
sia del '37, ha forse anticipato alcuni temi degli anni '60-'70.
Accanto a
Bertha-Barbara abbiamo anche un'altra grande figura, quella di Big
Bill Shelly (D. Corradine): sindacalista rivoluzionario che viene suo
malgrado coinvolto in una serie di rapine. Bill non è fatto per
quella vita: ma risulta difficile uscirne, quando alle calcagna hai
la polizia e le guardie del padrone della ferrovia (il miliardario
Sartoris, J. Corradine).
Inoltre,
Bill viene cacciato proprio dal suo sindacato. Così, dopo essersi
bruciato tutti i ponti alle spalle e consapevole che le sole
alternative a quella vita sono
costituite dalla sedia elettrica, dall'essere ucciso dai poliziotti o
dagli sgherri di Sartoris, Bill non può che continuare...
Però lui
(versione americana di Robin Hood) e la sua banda rubano solo ai
ricchi e destinano agli operai parte del bottino.
Rubano poi a
Sartoris, uomo che usa il pugno di ferro coi lavoratori... fino a
farli prendere a fucilate e ad incendiare le loro povere tende o
baracche.
Risulta
così a suo modo divertente
la scena della rapina in casa Sartoris, con una Bertha mozzafiato che
pistola in pugno, fasciata in un elegante vestito rosso e con uno
smagliante sorriso si rivolge così a Sartoris e ad i suoi amici
miliardari: “Volevo... volevo dirvi che questa è una
rapina, ma se vi metterete contro il muro ci eviterete la fatica di
spararvi.”
Scorsese
non si limita a rappresentare rapine, assalti armati ai treni,
sparatorie ecc. No, quelli sono gli elementi necessari del film,
quelle sono le cose che una banda fa.
Ma insieme a
quegli elementi troviamo anche quello sociale o sociologico: il
razzismo, le lotte e gli scioperi dei ferrovieri, la crisi economica,
lo sfruttamento della prostituzione, la diffusione a tutti i livelli
del gioco d'azzardo, l'alcolismo...
Poi, la storia
d'amore di Bertha e Bill, benché si svolga tra una rapina e l'altra
ed abbia come “luoghi” treni merci e case diroccate, è
rappresentata mantenendo un certo equilibrio tra loro tenerezza e la
loro (spesso incosciente) passione. Anche in questo la Hershey e
Corradine riescono benissimo.
Comunque il
film scorre alla grande, con in sottofondo una colonna sonora blues;
blues eseguito però senza strumenti elettrici: solo voce, chitarra
acustica ed armonica. Troviamo soltanto un rock, del resto necessario
in un momento piuttosto drammatico del film.
Mi
fermo qui perché come faccio spesso quando parlo di cinema, vorrei
darvi un'idea, spero
stuzzicante dei films che commento; ma vi assicuro che quello che non
vi ho detto è molto più
stimolante...
domenica 19 gennaio 2014
La discussione filosofica (13/a parte)*
A questo punto si
potrebbe credere che data la natura sociale-razionale sia
degli esseri umani che della filosofia, basti appunto attenersi a
tale natura per risolvere ogni problema.
Se
infatti l'uomo vive in società ed in essa sviluppa il proprio
pensiero, basterebbe assecondare la dimensione sociale e quella
filosofica per realizzare pace, progresso delle e nelle arti, delle e
nelle scienze, nell'amministrazione dello Stato, della giustizia,
armoniosa convivenza con l'ambiente, in campo lavorativo ecc. ecc.
Che
dire? Magari!
Intanto, abbiamo visto che anche la dimensione
sociale-razionale presuppone una responsabilità di
tipo morale:
responsabilità a cui non di rado gli esseri umani decidono di
sottrarsi.
“So
quale sia il bene ma seguo il male”, beh, quella strada è percorsa
da molti... che non necessariamente si danno al crimine.
Pensiamo a certe interminabili, spesso sfibranti ed inconcludenti
discussioni tra colleghi, famigliari, amici o innamorati che
producono rabbia, creano equivoci, rivalità, malintesi e così via.
Talvolta
quelle discussioni possono sfociare (nella peggiore delle ipotesi,
certo) in fatti di sangue o condurre alla rottura di legami che
sembravano “eterni”...
In
casi come questi la sola dimensione sociale-razionale rischia di
rivelarsi insufficiente: qui prevalgono elementi come l'orgoglio
e la volontà,
che per loro natura non rientrano facilmente all'interno della sfera
(soprattutto) razionale.
Naturalmente
la prevalenza dell'orgoglio e della volontà non è sempre
negativa... anzi molte volte può apportare alla dimensione
sociale-razionale forze fresche:
con l'immettere in tale dimensione salutari dosi di fantasia,
irriverenza ed anticonformismo.
Tutto
ciò può sia spezzare schemi
di comportamento ormai superati ma che magari sono accettati
acriticamente e tendono a soffocare la persona (conformismo);
sia superare schemi di pensiero che ne bloccano la dimensione
dialettica, riducendo appunto il pensiero ed il sapere ad una serie
di dati ormai ritenuti indiscutibili e non suscettibili di ulteriore
e reale sviluppo
(nozionismo). Del
resto, conformismo e nozionismo sono “buoni” vicini.
Quanto
detto sinora sposta il discorso dall'ambito strettamente
sociale-razionale a quello in buona parte psicologico-morale.
Ora, certo società e discussione filosofica non prescindono mai
neanche da quest'ultimo ambito: l'uomo non è un robot.
Certo
non prescindeva da quella dimensione (per non citare che lui)
Abelardo, che diede sempre molta importanza all'intenzione
ed all'interiorità. Egli scrisse: “Dio tien conto infatti non
delle cose che si fanno, ma dell'animo con cui si fanno; e il merito
e la lode di colui che agisce non consiste nell'azione ma
nell'intenzione.”1
Non
potrei quindi andar contro un uomo che mi ha insegnato (e continua a
farlo) tante ed ottime cose ed il cui pensiero comunque non si limitò
ad una sterile interiorità, per fargli anzi assumere un rilievo in
un certo senso rivoluzionario.
Ma
certo, in questa discussione filosofica ho un po' trascurato
la dimensione psicologico-morale. A mia parziale discolpa posso dire
che il discorso era ed è abbastanza complicato anche così...
Comunque,
penso che anche volendoci mantenere all'interno del lato
sociale-razionale dell'uomo e della filosofia, la discussione
filosofica debba affrontare due grandissimi pericoli. Ma non
voglio rovinarvi la sorpresa perciò... alla prossima!
Note
Ho
pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post
rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il
17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011;
La
6/a il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013; la 10/a il 5/10/2013, l'11/a il 30/10/2013, la 12/a il 16/11/213.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013; la 10/a il 5/10/2013, l'11/a il 30/10/2013, la 12/a il 16/11/213.
Il
riepilogo di questo post (dall'8/a all'11/a parte) è stato
pubblicato il 16/12/2013.
1
Pietro Abelardo, Etica o conosci te stesso, La Nuova Italia,
Firenze, 1976, p.33.
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