- * Ho pubblicato su questo blog le precedenti parti di questo post rispettivamente: la 1/a il 25 /03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il 17/6/2010; la 4/a l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a il 15/11/2012; la 7/a l'8/12/2012.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013. - Ho pubblicato la 10/a il 5/10/2013
mercoledì 30 ottobre 2013
La discussione filosofica (11/a parte)*
Ma questo modo di ragionare può
essere accusato appunto di oscurità,
forse anche di volontario inganno...
se non di vera e propria malafede.
Insomma, il rimedio può rivelarsi peggiore del male.
Infatti,
perché mai chi intenda filosofare quindi (secondo l'etimo) amare
la sapienza dovrebbe di fatto
evitare di farlo?
Non
si può infatti ammettere che un filosofo tenga egoisticamente la
verità o la sapienza per sé,
come se fosse un suo possesso personale, privato. A quel punto come
distinguere la verità dall'ignoranza e dall'errore?
Sarebbe
come se qualcuno dicesse alla persona amata: “Fidati, io ti amo
tantissimo. E' vero, non te lo dimostro mai, ma ti amo. Fidati: io
so che ti amo.”
Ma
a nessuno interessa un amore teorico.
Così, anche se sembrerà strano, neanche la filosofia può
permettersi d'essere solo teorica; insomma, non può né deve
permettersi il “lusso” di chiudersi in sé stessa e di non darsi
agli altri.
Quella
che per me è la visione più elevata della filosofia, espressa da
Platone nel mito della caverna1,
insegna che il sapere deve essere messo a disposizione di chi è
ancora vittima di false idee, verità parziali, illusioni ecc. Il
sapere, la verità, la conoscenza devono essere dunque con-divisi,
divisi con gli altri esseri umani.
Alla natura
stessa della filosofia ripugna il fatto che alcuni possano godere
della luce mentre altri rimarranno confinati per chissà quanto in un
mondo di inganni... più o meno frustranti, assurdi, derisori e
dolorosi.
La
filosofia non è quindi una qualche (ed a questo punto neanche
interessante né sensata)
disciplina pura, come
tale riservata a pochi “eletti” bensì qualcosa di sociale.
Essa,
infatti, nasce e vive in società e la sua dimensione naturale non
può che essere quella della discussione,
un qualcosa quindi che avviene tra uomini e donne in carne ed ossa...
Uomini e donne che talvolta avranno anche una conoscenza tecnica,
specifica, insomma specialistica del discorso filosofico... ma
non sempre, né questo è poi
fondamentale.
Ovviamente,
non deve mai mancare il rispetto per
chi appunto del discorso filosofico ha una conoscenza appunto
specifica, conoscenza che ha acquisito con lunghi, difficili anni di
studi e ricerche e che con la conoscenza di quel discorso
cerca di guadagnarsi il
pane... Peraltro non molto, a
dirla tutta!
Comunque,
poiché l'essere umano è animal rationale,
animale razionale, egli è condotto dalla sua stessa natura, dal suo
essere ad interrogarsi sui problemi della filosofia...
Problemi che non
sono poi altro che quelli della vita:
chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, che cosa possiamo
conoscere, che cosa siano il bene ed il male, che cosa sia e come sia
applicabile la giustizia, quale sia l'origine del mondo, il senso del
tempo, il valore dell'amore e dell'amicizia ecc.
Note
1
Platone, La repubblica, Fabbri Editori, Milano, 2000, VII,
p.242 sgg.
domenica 13 ottobre 2013
“La sfuriata di Bet”, di Christian Frascella
Ho scoperto questo romanzo
grazie alla libreria Bonardi di Amsterdam che organizza incontri e
presentazioni di libri italiani tradotti nella lingua locale. Essa
contribuisce così sia a diffondere la nostra letteratura sia a
combattere vari pregiudizi relativi al nostro Paese (terra solo di
mafia, scandali sessuali, O' sole mio
ecc.). Questa libreria invia (non solo a me!) delle e-mails
con cui aggiorna sulle sue attività.
Circa
La sfuriata
ero un po' dubbioso: non sarà, mi sono detto, il solito libro sugli
adolescenti... di solito rappresentati come brufolosi, eternamente
attaccati al pc, all'Ipod, all'Ipad, a facebook o ad altre diavolerie
e deliranti in uno slang intriso
di dialetto, italiano sgrammaticato, gergo televisivo e
pseudo-inglese?
Niente di
tutto questo.
Intanto,
Bet (Elisabetta) è ovviamente una ragazza del suo tempo: ma
all'interno di esso non vive come una ragazza ovvia.
E' imprevedibile, umorale, spesso sarcastica ma dirige il suo
sarcasmo anche verso sé stessa.
Sembra disillusa, quasi cinica: eppure si batte per difendere una
donna incinta dai modi direi troppo spicci di
un carabiniere, salva una donna anziana dallo sfratto, lotta con la
madre ed i colleghi che si trovano ad un passo del licenziamento.
La
classica ragazza impegnata ed inoltre immersa sia in letture sia in
ascolti musicali da combat rock?
Anche stavolta, domanda sbagliata. Inoltre lei odia i Doors, il
Siddharta di Herman
Hesse ecc. ecc.
Alla
soglia dei 18 anni vede tutto il marcio che dilaga nel nostro Paese
(e forse non solo nel nostro) come il maschilismo, lo sfruttamento
sul lavoro, il precariato, la fissazione per il “bel” corpo, il
carrierismo in politica, il culto del nozionismo ecc. Bet vede tutto
questo e lo dice;
senza girarci tanto attorno.
L'A.
ha il merito di non sovrapporsi a
Bet, insomma non la fa parlare come farebbe lui. Lei
parla come una 18enne di questi tempi, sia pure dotata di una forte
personalità: comunque non è lo stereotipo della
ragazza moderna.
Un altro grande merito
dell'Autore: ha fatto leggere il manoscritto alle ragazze ed ai ragazzi
dell'Istituto Giulio e del Liceo Gioberti di Torino che come scrive:
“Hanno avuto la pazienza di ricevermi in classe, profondendosi in
critiche attente e consigli fondamentali” (p.209).
Bene, la
Torino dipinta da Frascella più che la capitale italiana dell'auto è
una città molto cupa, talvolta caotica, flagellata dal vento e dal
gelo. Come in un'inquietante sensazione-(pre)visione di decadenza,
dai muri delle case trasudano umidità e presagi di sconfitta. Del
resto, disoccupazione e cassa integrazione sono realtà che si
respirano per strada ed attraversano i quartieri operai della città.
La
sfuriata che ad un
certo punto troveremo nel libro è già anticipata da frasi, pensieri
ed impressioni di Bet (che si considera responsabile della morte
della sorella) e che Frascella lascia fluttuare in modo libero ma mai
confuso.
In
un certo senso Bet è una dura, ma non va in giro a dimostrarlo. Non
ha troppe amiche né un ragazzo ma non fa la “carina” con
nessuno. Non ama lo studio ma la sua mente è in continua
ebollizione: e sempre su questioni alte...
anche se lei non sopporterebbe il termine.
Si
descrive così: “Penso che sono una ragazza del mio
tempo, e che non lo sono. Che abito nel mondo, e il mondo non mi
piace, e non mi sento adatta ad esso. E tra pochi mesi compirò
diciotto anni e finalmente potrò fare un sacco di cose che oggi non
ho proprio voglia di fare. Spero di volerle fare, però, spero di
sentirmi meglio, quel giorno, e di avere di nuovo dei desideri”
(p.188).
Molti di
questi pensieri non somigliano a quelli che avevamo anche noi...
quando sembrava che “i 18” ci avrebbero consegnato le chiavi del
mondo?
Poi “i 18”
arrivano, li superi anche di vari decenni e... be', in fondo è
sempre la stessa minestra: non puoi fare proprio quello che volevi o
quando lo fai, non ci provi più tanto gusto. Discorso complesso;
proseguiamo.
La
differenza tra Bet e noi diversamente 18enni consiste
forse in questo: noi avevamo dei desideri...
forse troppi? Chissà. Bet e molti suoi coetanei sperano di
averne. Del resto, sono capitati
in un mondo che non ispira troppa fiducia...
Ma
lei non si chiude in sé stessa o nella sua amarezza, perché diventa
consapevole del fatto che lei non è “il centro del
mondo. Sono”, dice, “un
pezzetto attaccato ad altri pezzetti e tutti insieme siamo
un corpo unico” (p.188. I corsivi sono miei).
Con
Bet l'A. ci ha regalato una figura di giovane donna che spero possa
smuovere un po' le acque della nostra … non sempre
entusiasmante letteratura. Grazie Christian, anche a nome di un
remotamente 18enne.
P.s.: grazie
anche alla signora Henrieke Herber per aver tradotto in neerlandese
(olandese) un testo non semplice come potrebbe (a prima vista)
sembrare.
Benché
non conosca la... tulipanica lingua, penso che la signora abbia fatto
sicuramente un ottimo lavoro. Nel mio blogroll trovate il link al suo
blog che è www.henriekeherber.nl
sabato 5 ottobre 2013
La discussione filosofica (parte 10/a)*
Da quanto
visto nella 9/a parte sembrerebbe che davvero l'arte e gli artisti
(soprattutto quelli che sentono e creano in modo molto
passionale) siano molto pericolosi per la filosofia. E per la
società. Sì, perché la loro fantasia ed anche il loro
fustigare sé stessi attraverso la propria creatività potrebbe
turbare delle comunità che considerano ben più importanti valori
come il self-control, la logica, la misura, la riservatezza ecc.
Ma in comunità
come quelle l'artista si sente soffocare. Per lui o per lei,
l'urlo è il solo valore, perché squarcia il velo di
una realtà che impedisce la reale crescita della persona, la sua
liberazione. Penso che tale “urlo” sia stato molto forte
soprattutto a partire dal romanticismo e dall'espressionismo, fino ad
arrivare nel '900 alla durezza del rock (Who, Rolling Stones, Janis
Joplin, Clash, Sex Pistols ecc.) e di certa canzone d'Autore (Phil
Ochs, Bob Dylan, Brel, Victor Jara, il Lennon post-Beatles, Billy
Bragg ecc.).
Tornando alla
parola scritta, considero migliori esponenti di questo porsi di
fronte alla società, il Rimbaud de Una stagione all'Inferno,
direi tutto Brecht, Bukowski, Pasolini né dimenticherei Artaud. Ora,
queste mie considerazioni hanno solo valore indicativo, ma penso che
il concetto-base sia chiaro: soprattutto se “viste” alla luce
dell'Urlo di Munch e di quello di Ginsberg.1
Certo, in
qualcuno anche questo modo di essere può diventare solo un
atteggiamento, un che di teatrale o comunque di non spontaneo;
ma è lì che si vede il vero artista.
Del resto, non
è molto chiara neanche la posizione del filosofo che voglia
denunciare gli “eccessi” dell'artista, filosofo che finora
abbiamo identificato in Platone. Infatti, la stessa Murdoch riconosce
che nei testi di Platone si trovano affermazioni argute e spiritose e
che il tono di questi è spesso amabile.2 La forma espressiva
utilizzata da Platone non era insomma severa quanto i concetti da lui
esposti e discussi, né quella forma condivideva sempre la condanna
platonica dell'arte; anzi spesso si direbbe proprio il contrario.
Inoltre, il
Koyrè ci ricorda come molti dei Dialoghi platonici potrebbero
essere intesi anche come dei testi teatrali e come tali,
debitamente rappresentati e rappresentabili; quel che poi,
nell'antichità si fece.3
Ed ai giorni
nostri, l'attore Gigi Proietti ha portato in scena proprio Socrate4:
riferendosi in qualche modo anche all'Apologia di Socrate,
testo in cui Platone diede libero sfogo alla sua natura artistica,
consegnando a generazioni di lettori un Socrate oltre che cercatore
di verità, spesso gigione ed anche irriverente, quasi tagliente coi
suoi accusatori e perfino coi giudici, se arrivò al punto di
dichiarare che non solo doveva essere assolto, ma che anzi aveva il
diritto d'esser mantenuto gratis a spese dello Stato!5
Dall'Apologia
emerge la figura di un uomo che non considera mai la virtù e la
giustizia questioni astrattamente teoriche, né uomo che rinunci alla
vita a cuor leggero. Infatti, egli si batte per la sua vita e per la
verità facendo ricorso a tutte le “astuzie” ed a tutti gli
argomenti in suo possesso senza temere di passare per retore o ancor
peggio, per commediante.
Insomma, anche
in Platone troviamo della duplicità: da una parte duro, quasi
implacabile nemico dell'arte e degli artisti, censore della loro
creatività e della loro stessa umanità.
Dall'altra, se
consideriamo l'attenzione da lui posta nella descrizione di
particolari situazioni, nell'uso di determinati termini, nel
delineare i tratti della personalità di certi interlocutori, nel
precisare certe situazioni, varietà delle conversazioni ecc.,
artista egli stesso.
Che avesse
ragione un grande conoscitore ed estimatore dei Greci come Nietzsche
quando scrisse: “Tutto ciò che è profondo ama la maschera”?6
Note
* Ho pubblicato su questo blog
le precedenti parti di questo post rispettivamente: la 1/a il 25
/03/2008; la 2/a il 4/4/2008; la 3/a il 17/6/2010; la 4/a
l’11/10/2011, la 5/a il 27/11/2011; la 6/a il 15/11/2012; la 7/a
l'8/12/2012.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013.
Il riepilogo di questo post (sino alla 7/a parte) è stato pubblicato il 21/02/2013.
Ho pubblicato l'8/a parte il 20/03/2013 e la 9/a il 14/09/2013.
1 Allen
Ginsberg, Urlo, in Id., Jukebox all'idrogeno (1956),
Mondadori, Milano, 1979, pp.102-137.
2 Iris
Murdoch, Il fuoco e il sole, Sugarco, Milano, 1977, p.101.
3 Alexandre
Koyrè, Introduzione a Platone, Editori Riuniti, Roma, 1996,
pp.6-8 e p.8 n.4.
4Intereressante
la lettura di
http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/29/SOCRATE_scena_spirito_dell_uomo_co_0_0004291727.shtml
5 Platone,
Apologia di Socrate, Garzanti, Milano,1980, p.36.
6 Friedrich W.
Nietzsche, Al di là del bene e del male, Gte Newton, Roma, 1988,
p.72. Il corsivo è mio.
Iscriviti a:
Post (Atom)