domenica 14 luglio 2013
“Risveglio”, canto dei Nativi Algonkin Chippewa
Risveglio (in 49
Canti degli Indiani, Mondadori, Milano, 1997, pp.32-33) è
un canto dei Nativi (indiani, pellerossa) Algonkin Chippewa.
Il
canto in questione consta d'appena 31 versi... del resto, io penso
che un canto d'amore non
debba essere troppo lungo. Soprattutto non deve essere lungo un
canto, che deve farsi
ascoltare e non può bombardare chi ascolta con una grandinata di
immagini... che possono essere molto belle prese singolarmente, ma
tutte insieme rischiano di infastidire l'ascoltatore.
Risveglio è
invece per me un canto perfetto per misura:
contiene molte immagini e diverse metafore, tutte comunque tra loro
collegate come le perline di una collana: non se ne trova una
di troppo e tutte collaborano o
si collegano nello stesso “progetto”... in quella collana o amore
che dir si voglia.
L'innamorato
invita l'amata a svegliarsi e tra le immagini che mi hanno colpito di
più c'è questa, “cielo che cammina.”
Infatti,
per chi ama, la donna amata è davvero un cielo:
qualcosa cioè che vuole assolutamente raggiungere, una realtà in
cui desidera volare fino a perdersi ed in essa riposare.
E
quel che è ancora più bello, è che questo amante sa che il “cielo”
che ama, cammina... e cammina con lui.
Non si tratta di una bellezza fredda o indifferente, infatti il canto
termina così: “Svegliati, amore, svegliati!”
Quella
donna vive e dorme con lui, è quindi un cielo che gli appartiene,
che divide con l'amato il suo tempo... la sua-loro vita,
insomma; perché l'amore porta ad intendere il tempo dell'uno anche
come tempo dell'altra e viceversa. Una stessa cosa,
insomma.
Risveglio dipinge
più che un fiero guerriero, un uomo innamorato ma anche preda
dell'ansia e della pena d'amore: perché non di rado l'amore è anche
dolore...
Infatti
egli dice: “Quando mi guardi io sono felice
come un fiore che beve
la rugiada”,
ma
dopo alcuni versi aggiunge: “Quando
mi guardi severa
nero
mi si fa il cuore,
come
un fiume abbagliante
che
nubi di pioggia oscurano.”
In
amore l'incostanza o anche i problemi che possono nascere causano
sofferenza e ci sembra che chi amiamo non sia più quella persona
dolce ed a noi vicina, quella persona che col calore del suo cuore
contribuiva a tanta parte della nostra felicità. In quei frangenti
l'amata ci sembra un giudice o comunque una persona fredda, distante,
quasi nemica.
Notate
poi come in Risveglio
si
trovino due “quando”: uno positivo, il momento in cui lo sguardo
dell'amata rende felici; uno negativo, che coincide con la severità
dello
sguardo. Si tratta sempre di sguardi,
ma che appartengono a tempi o a stagioni
diverse
dell'amore... una realtà che non è statica bensì in continua
evoluzione.
“Se
mi sorridi, ecco che torna il sole,
e
sono un'increspatura
disegnata
sul viso dello stagno.”
Infatti
in amore vogliamo anche essere rassicurati, mentre proprio
l'insicurezza e l'oscillazione del sentimento ci fanno soffrire:
questo perché nella persona amata cerchiamo qualcuno che ci salvi
dalla nostra solitudine, dal sentirci insoddisfatti, privi di una
meta, spezzati
dentro,
come sconfitti in partenza.
Così,
l'amore deve avere una base
stabile:
un amore incostante o su cui si debba essere rassicurati di continuo,
be'... aumenta
la
nostra solitudine, il nostro dolore.
Risveglio
racchiude
anche immagini di una sensualità gioiosa, giocosa, animata da un
forte entusiasmo.
Non
vedi il fiotto rosso del mio sangue
correrti
incontro
come
un torrente nel fitto della macchia
in
una notte magica di luna?”
Qui
parlo di sensualità in senso davvero lato:
qui non si descrive solo il desiderio dell'atto sessuale né la sua
attuazione bensì il tormento nel desiderare un'unione con la donna
ad un livello più pieno possibile.
E' come se l'amante dicesse: non vedi che
sono davanti a te con tutto me stesso e
senza nessuna remora né vergogna, non vedi che
ho abbattuto tutte le mie stupide difese, i blocchi, le paure e la
falsa forza?
E riecco il “rosso”, simbolo di vita, quando lui canta:
“Guardami,
guarda
il rosso tamburo del mio cuore.”
In
questo che io intendo come un denudarsi
(ma come visto prima, ciò avviene al livello più
pieno)
solo in questo
può
avvenire un'autentica
unione.
E
per me, il grande merito di Risveglio
consiste nell'aver
descritto tutto questo in modo molto immediato e profondo; il che a
molta poesia d'amore non riesce spesso.
Per
esempio, sull'argomento amore sono molto immediati anche i versi del
blues,
ma è come se il bluesman temesse di risultare mieloso o banale:
allora ecco che punta tutto sulla forza
delle sue immagini...
che beninteso, possono anche dipanarsi sul filo di una certa ironia e
di un “codice” segreto, tutto giocato tra lui e chi ascolta.
Concludo
con questi versi, sempre da Risveglio:
“Ride
la terra, il cielo assieme a lei:
io
non ricordo più come si ride
se
non mi sei vicina.”
martedì 2 luglio 2013
La chiamano crisi (3/a parte)
Da quanto detto nei
precedenti post ricavo alcune conclusioni, insieme ad altre che
esporrò in questo.
La prima:
questa non è una crisi
qualsiasi ma come è stata definita da Ben Bernanke, presidente della
Federal Reserve Americana, “la peggiore crisi finanziaria della
storia mondiale, ivi compresa la Grande Depressione del 1929.”1
La
seconda: questa
crisi ha ripercussioni
devastanti non solo su un'economia astrattamente intesa, ma
sull'intero complesso della vita delle
persone... cioè sulle relazioni sociali, lavorative, psicologiche,
culturali e perfino sanitarie di
interi Paesi.
La
terza: le misure che
sono di fatto imposte ai
vari Paesi dalla cosiddetta trojka cioè
Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione
europea peggiorano la
crisi.
Immaginiamo
che una persona abbia dei debiti e che stia morendo di fame: gli
ordiniamo di non mangiare
perché così “risparmia” e paga i debiti. Magari quelli riesce
a pagarli però a forza di non mangiare, muore. Ma
poi, uno che non deve
mangiare non riesce neanche a lavorare per ripianare i debiti, no?
Davanti
quindi ai cosiddetti “consigli”, “prestiti” ecc. della trojka
bisognerebbe rispondere come Laocoonte ne L'Eneide:
“Timeo Danaos et dona ferentis”, temo i Greci anche quando
portano doni.”2 Laocoonte intendeva dissuadere i Troiani
dall'accogliere in città il famoso cavallo.
Purtroppo i poveretti accettano il dono, grazie al quale gli “eroi”
nemici entrano a distruggono la città.
Oggigiorno,
i Greci che espugnano e demoliscono tutto non sono certo i moderni
discendenti di Omero ma la trojka; i Troiani siamo tutti noi quando
accettiamo il suo perverso mix di misure inutili e micidiali.
Del
resto, la stessa Bce dichiara: “I tagli al bilancio nel settore
pubblico e privato insieme alla stretta sul credito seguiteranno a
gravare sull'attività economica.”3 Inoltre, un'eventuale uscita
dalla crisi, “non produrrà occupazione, e lascerà sul campo
persone non 'riconvertibili.'”4
Quindi
ci stiamo svenando... più o meno per niente;
almeno, non per ottenere nuovo lavoro ed
altro pane.
Del
resto: “Quanto più a lungo i disoccupati restano senza lavoro- si
legge- più è probabile che le loro competenze diminuiscano e che il
loro capitale umano si deprezzi.
Gli individui che accumulano periodi di disoccupazione più lunghi
possono essere considerati meno favorevolmente dai potenziali datori
di lavoro.”5
Così,
una volta finita la crisi, per chi è stato disoccupato, inoccupato
ecc., le cose rimarranno come prima. Per tutte queste persone non
esisterà insomma alcuna possibilità reale di
ritorno nel ciclo produttivo e lavorativo perché per quel
ciclo, chi ha subito gli effetti
più devastanti della crisi sarà (il che non è però assiomatico)
più o meno equiparabile ad un ferrovecchio.
E
comunque, la crisi non è stata certo scatenata da chi l'ha subita,
allora quelle persone avrebbero diritto ad essere reinserite nel
vivo di attività produttive e lavorative. Avrebbero diritto ad una
riqualificazione professionale e ad un reinserimento sociale, pena
una loro (pressoché infinita)
esclusione dal lavoro, dalla vita attiva e di società, dal reddito
ecc. ed un continuo sprofondare nella miseria e nella disperazione.
Del
resto, la nostra Costituzione dichiara quanto segue: “E' compito della
Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione economica e
sociale del Paese.”6
Ed
ancora: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il
diritto al lavoro e
promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto.”7
Invece,
niente di tutto questo. Meraviglioso, no?
Note
1
Serge Halimi, Quattro anni dopo,
ne Le monde diplomatique, n.5,
anno XVIII, maggio 2011, p.1
2
Virgilio, Eneide, II, 49.
3
Roberto Ciccarelli, Record dei senza futuro,
ne Il manifesto, 12//04/2013, p.6.
4
R. Ciccarelli, Record dei senza futuro, art. cit.
5
R. Ciccarelli, art.
cit.
6
Costituzione della Repubblica italiana, art. 3. I corsivi sono miei.
7
Costituzione della Repubblica italiana, art. 4. I corsivi sono miei.
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