Ma la “remoticità” di tale lato, il suo muovere da questa grande lontananza temporale, agli occhi di alcuni pare quasi che conferisca alle varie organizzazioni criminali che incarnano la criminalità, un che di misterioso se non di leggendario.
Eccoci quindi di fronte ad una dimensione quasi morale o poetica della criminalità. Qui troviamo anche visioni romanticoidi o pesudosociali: come quella che vede nel criminale un eroe che combatte per il popolo (vedi il film Il siciliano con C. Lambert) sorta di cavaliere errante in lotta contro i potenti.
Tale visione prescinde in toto dalla constatazione che il criminale è poi al servizio di chi talvolta può sembrare abbia combattuto; nella “migliore” delle ipotesi, è al servizio di sé stesso.
In Sardegna spesso sono stati esaltati (non solo dal poeta Sebastiano Satta) come “belli, feroci e prodi” dei banditi che al massimo erano feroci.
Il romanzo Il padrino di Mario Puzo ha presentato nella figura di Don Vito Corleone un “mafioso morale”… vera contraddizione in termini; altrettanto dicasi, forse, per il Don Gaspare del romanzo di Sciascia Il giorno della civetta.
Nella canzone Joey, Dylan idealizza il killer del clan Profaci, nonché uccisore del boss Albert Anastasia, Joe “Crazy” Gallo.
Il fatto poi che dal Padrino e dal Giorno siano stati tratti dei film di successo, ha conferito appunto ai Don citati pubbliche caratteristiche di moralità e poeticità.
Ma non intendo criticare gli artisti di cui sopra.
Spetta però a governanti, intellettuali, media, educatori e società civile vigilare affinché al pubblico non pervengano messaggi eventualmente (e sottolineo questo avverbio) distorti.
Inoltre, lo stesso artista può spiegare in interviste, saggi e dibattiti quale sia la sua posizione.
Naturalmente, egli descrive ciò che vede e tra i personaggi di un’opera di invenzione e le persone della vita (e della delinquenza) reale c’è una bella differenza…